mercoledì 3 luglio 2013

LUCI DI SERVIZIO



                                                                                                                              LUCI DI SERVIZIO


            Dittico Teatrale

 Pièce che comprende due azioni: Dove fa il nido la ghiandaia e Il re di Francia. In ognuna di esse una scena assolutamente scarna ed essenziale accoglie due personaggi, prima un attore e un regista, poi un macchinista e un elettricista teatrali. È dunque il nudo palcoscenico che fa da contenitore e da universo per due eventi strettamente legati e in apparenza confinati nell’ambito dello specifico teatrale. Il gioco teatrale crea un filo conduttore che collega per continuità quasi fisica, gli accenti drammatici e talvolta disperati della prima azione allo sberleffo scanzonato della seconda 
Rappresentato dal 7 al 12 ottobre 1997 al Teatro Santa Chiara di Brescia dal Teatro dell'Orma, con la regia dell'autore che ne fu anche interprete assieme a Daniele Squassina e Maurizio Milzani.

Ecco brani delle due azioni:

Azione Prima     DOVE FA IL NIDO LA GHIANDAIA

 Personaggi: L’attore  -  Il regista

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Regista – (Lo molla.) Sai anche recitare bene quando vuoi, maledetto te.
Attore – No, non quando voglio, quando mi riesce. Sempre vorrei.
Regista – Non capisco, non ti seguo. Perché saltabecchi così, da una battuta all’altra, senza logica? Cosa cerchi?
Attore – Cerco.
Regista – Ma cosa, cosa?
Attore – Non lo so.
Regista – Allora non è vero che cerchi.
Attore – Lo saprai tu!
Regista – Vuoi esercitarti, scegli Calibano; bene, e allora fallo! È un ruolo che non ti
affiderei mai se dovessi mettere in scena La Tempesta, questo è certo. Ma vuoi esercitarti e allora mi presto ad aiutarti. Scusa, sai, se ti faccio un favore! Sì, sì, un favore; è inutile che tu faccia quella faccia. Un favore! Da te dovrei esigere di non perdere un minuto e dargli sotto con la tua parte perché annaspi e il tempo stringe. Da una prova all’altra non avanzi di un passo. Mi dai dello sbirro e io sono qua lo stesso per darti una mano. Un imbecille, ecco cosa sono. Una mano a fare quello che vuoi tu! E tu rifiuti, ti metti a fare l’estroso e a menarmi per il naso. Ma lo vuoi capire che né tu né nessun altro attore di questa compagnia può fare da solo? Non siete all’altezza. E forse nessuno, nessun attore in assoluto. I proverbi in teatro vanno capovolti: l’abito fa il monaco e chi fa da sé non fa per tre ma sempre per uno meno qualcosa, se non zero o peggio. Ma no, non lo capite, non lo volete capire e mi date dello sbirro. Io, il regista, sono quello che vi toglie la vostra libertà, il truce castratore! Non la libertà ma le vostre velleità vi tolgo, o almeno ci provo. Neanche i ruoli sapreste scegliervi, perché vi spinge di più l’ambizione che la conoscenza dei vostri mezzi, espressivi e intellettivi. Strizza un attore e qualche goccia di narciso esce sempre; più spesso è un torrente.
Attore – Un regista mi guarderei bene dallo strizzarlo.
Regista – Sbagli, dovresti farlo, ma hai paura di trovare qualcos’altro oltre lo sbirro. Ti serve troppo la figura dello sbirro per coccolare le tue inefficienze.
Attore – Hai detto inefficienze.
Regista – Sì, inefficienze, e sono stato gentile.
Attore – No, chiaro, sei stato chiaro.
                             Ban ban Caliban
                             non ha più padrone, uomo nuovo si fa,
                             ban ban ca Caliban.
                             Ehilà, vita nuova, vita nuova, libertà!
Prospero se ne è andato. Un grande guscio l’ha restituito al mare. Non c’è più re. L’isola è nostra, Ariele, è nostra. Noi siamo nostri!
Regista – Che fai, ricominci con gli sproloqui?
Attore – Ariele, l’isola è libera, noi siamo liberi!
Regista – Basta idiozie, smettila!
Attore – Ariele, mia madre Sicorace ti fece prigioniero e Prospero ti liberò, ma Prospero mi fece schiavo e tu fosti suo servo e mio carceriere. Tutto questo è finito. E’ giusto non dimenticare il passato ma è tremendo farsene schiavi. Tutto può nascere ora. Possiamo essere liberi!
Regista – Ti ho detto di piantarla! Cosa vuoi fare ora, vuoi andare al dopo La Tempesta?
Attore – Ci sei, ci sei, è così!
Regista – Ma cercando che, che cosa? Che te ne fai di Calibano? Dopo Shakespeare sono stati scritti migliaia di testi e non mancano capolavori. Sceglitene uno se non ti interessa La Tempesta così com’è. Sbarazzati di Calibano e scegliti un personaggio di oggi; ce n’è di materiale per un attore!
Attore – Mi interessa Calibano e non da attore ma perché sono attore.
Regista – Fammi capire.
Attore – Non mi so spiegare.
Regista – Perché non hai niente da spiegare, allora.
Attore – Già, hai ragione tu, hai sempre ragione tu!
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Azione Seconda                     IL RE DI FRANCIA

Personaggi:       Il macchinista - L’elettricista

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Macchinista – Mi basta camminare, perché dovrei volare?
Elettricista – Già, e se vuoi salire usi la scala.
Macchinista – Perché, tu no? Tu frulli le ali per agganciare in alto i riflettori?
Elettricista – Ma la fantasia l’agganci? La parola, il gesto, l’idea, la poesia, devi agganciarli? Puoi agganciarli? No. Devono volare. E tu devi volare se vuoi che volino. O tuffarti fino alle soglie dell’inferno per scavare nell’animo umano e rivelare il senso dell’atto e il perché della risata. Ma quando il tuo volo è troppo corto per la parola che hai scelto, il tuo corpo troppo greve per quel gesto, la tua testa troppo ottusa per quell'idea e te ne accorgi, –é raro ma succede–, oppure lo supponi o lo paventi anche se non è, ecco, è l’impotenza, atroce, tremenda, che ti porta alla disperazione.
Macchinista – Eh, là là!
Elettricista – Hai mai visto uomini scorticare a morsi i tronchi dei tigli? Sono attori vittime dell’impotenza. Hai mai visto donne inginocchiarsi sui parafulmini? Sono attrici in preda all’impotenza. Quel tale che bacia continuamente locomotive in corsa, è un regista ossessionato dall’impotenza. Quell’altro, che sventra ombrelli con i gomiti, è un drammaturgo oppresso dall’impotenza. E quei due che si annodano ai semafori, sono poeti al colmo dell’impotenza. Quando vedi tutta una città dar di testa sulle cantonate, è una città di artisti impotenti. Se una civiltà intera ingoia se stessa è perché ha reso impotenti i propri artisti.
Macchinista – È tua?
Elettricista – Non lo so ma suona bene.
Macchinista – Insomma, se è impotenza qui si chiude bottega.
Elettricista – Soffriresti?
Macchinista – Sì.
Elettricista – Perché?
Macchinista – Perché il teatro mi piace.
Elettricista – Perché?
Macchinista – Oh bella! Non lo so. Mi piace e basta.
Elettricista – Risposta esatta.
Macchinista – No. No, che lo so! Mi piace questo fatto che uno qui è Giuseppe, poi con un passo entra in scena...è il Re di Francia. Da qui a qui, capisci? Mi fa impazzire. Ci casco sempre come un bambino. Ricordi quante repliche abbiamo fatto dell’Assassinio nella Cattedrale?
Elettricista – No.
Macchinista – Centoquarantadue. Secondo atto, l’arcivescovo, la predica: “In nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo...”...per centoquarantadue volte mi sono fatto il segno della croce, senza contare le prove. Io, che non sono credente! È più forte di me. Quando gli attori passano da qui a qui, credo a tutto.
Elettricista – E quando il Re di Francia ripassa da qui a qui e ridiventa Giuseppe, come la prendi? Sei deluso, ti arrabbi?
Macchinista – No. Sono deluso se qualcuno è Giuseppe qui e qui.
Elettricista – Ah, spesso allora! E vorresti anche tu essere Luca qui e un altro qui?
Macchinista – Mai. Solo pensarci mi fa paura.
Elettricista – Paura del pubblico?
Macchinista – No, paura per me. Paura di non riuscire a essere un altro. E se dovesse succedere, paura, anzi terrore di non riuscire più a essere me stesso.
Elettricista – Insomma sei il tecnico ideale, ti affascina il teatro ma non aneli diventare attore.
Macchinista – Tu sì invece?
Elettricista – Fossi matto!
Macchinista – Ma sei matto!
Elettricista – È vero. Fammi pensare...Mercurio, il tuo adepto mi intriga. Spara semplicità che mi sorprendono, anzi, mi turbano. Perché pur essendo pazzo non voglio essere attore? Timidezza? Impossibile, non è nel mio bagaglio. Verecondia? Siamo seri...! Incredulità nell’arte? Al contrario, mi sento molto artista con le luci...Ci sono: logorrea. Non saprei star zitto, non sopporterei i silenzi, non saprei aspettare il mio turno per parlare, farei solo e sempre lunghi monologhi o vorrei fare io tutti i personaggi. Duellerei con me stesso. Sarebbe un po’ riduttivo e monotono, non ti pare?
Macchinista – Mi pare, mi pare!
Elettricista – Vuoi vedere?
Macchinista – No, no, per favore!
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